Non so proprio come possa definirsi lo stato d’animo
provato dai miei amici e da me nella "ricognizione" effettuata nel
cuore di quello che ormai solo convenzionalmente si dice "foresta
amazzonica". Destino, privilegio, ventura: ci sembra di aver assistito
a un raro e doloroso spettacolo.
Nessun grido. Per tutti noi il
termine Amazzonia evoca la "foresta", innervata da cento e cento fiumi,
ma anche, a partire da 25-30 anni, la sua costante, incessante e
progressiva distruzione.
Nessun grido, nessuna denuncia per quanto accorata o
disperata o autorevole, ha sortito l´effetto di fermare la mano
incendiaria dei responsabili di tanta distruzione.
La lotta dell’"animale razionale"per eccellenza,
dell’uomo, condotta contro il prodotto tessuto da miliardi di anni
dalle forze vive e creatrici della natura piu´ rigogliosa e forte
volge al suo termine. Il fantasma di Bacone, che solo qualche secolo fa
invitava l’uomo a "violentare" la natura per i propri fini si aggira
soddisfatto nelle immense lande bruciate e distrutte.
La fine della foresta. Quando per
Amazzonia s'intende foresta, alla stessa stregua con cui dicendo Sahara
si intende deserto, ci si sbaglia: la foresta sta gia` cessando da
tempo di esistere, al ritmo di un miliardo e 300 milioni di alberi
tagliati e bruciati all´anno. La bruciano tutti, dal piccolo
proprietario terriero a quello di mezza tacca, su su sino al vero
distruttore storico, il grande latifondista che della distruzione della
foresta si è fatto un punto d`onore personale. Si brucia
così, per abitudine, per comodità e risparmio di fatica,
per buon calcolo, per pseudo-imprenditorialità o anche per
"simpatia" quando un incendio si propaga nelle proprietà vicine.
Si brucia con tranquillità, sempre illegalmente. I tutori
della legge operano a poche ore, a volte a poche decine di minuti dai
luoghi degli incendi, il che è assolutamente indifferente a fini
degli interventi. Che non ci sono. I loro potenti mezzi, che
comprendono elicotteri e fuoristrada, mostrano gli inutili muscoli
metallici di fronte ai loro uffici.Gli incendi? Si presume che le loro
risposte a tale essenziale quesito siano analoghe a quelle di tutti i
buoni e onesti apparati burocratici di questo mondo: troppo spesso
sovraintendono solamente ai problemi, intimamente consapevoli di non
doverli per nulla risolvere.
Qualcuno auspica l’intervento dell’esercito nella
lotta. Forse questo, data la sua forza, potrà vincere al loro
posto la battaglia. Le lande dove c’era la foresta che ora non
c’è più, lande ora grigie ora nere di cenere, con
cimiteri di alberi carbonizzati dal fuoco e schiantati scompostamente
al suolo, danno l’idea di campi di battaglia dopo una giornata di
sterminio. E ciò crea nell’anima quella strana sensazione
dolorosa che ha suscitato la visione della caduta delle "torri gemelle"
di New York e che susciterebbe l’assistere alla caduta della torre
Eiffel o a quella di Pisa, oppure all’esplosione del Colosseo per
destinare l’area a un parcheggio di auto.
Vantaggi fasulli. Questa orribile
distruzione per alcuni è un’operazione positiva perché
permette anche al più piccolo proprietario di terreno bruciato
prima e messo a pascolo poi, di raggiunere lo status di piccolo
benestante, col fuoristrada dai vetri oscurati in garage, la
televisione al plasma per i figli e la cyclette da ginnastica per la
signora. Ma ecco l’assoluta idiozia che avvolge l’intera faccenda: non
sarà mai così, non potrà - e ciò è
inconfutabilemnete dimostrato - mai essere una fonte di ricchezza per
alcuno la foresta trasformata in pascolo, con queste mandrie di vacche
scheletrite che si trascinano a brucare su rendite solo annuali di
erba, fornita da prati che diverrano sabbiosi in breve tempo e che si
trasforma poi in uno strano vegetume che alla lunga non attirerà
nemmeno un maiale.
E se da queste parti si sta annientando il polmone
d’ossigeno del mondo, da altre parti (Cina e India) si sta creando un
parco veicoli di 700 milioni di vetture a benzina. Nel mezzo, nella
consunta e imbolsita Europa, qualcuno finalmente si mette a pensare in
termini un po’ più adeguati alla gravità della situazione.
Bene. Bello. Giusto. I discendenti
diretti dei creatori del mito del progresso scientifico prima e di
quello conseguente economico poi, impregnati di positivo liberalismo,
che oggi hanno il sano dubbio che un albero abbattuto non sia
principalmente un problema di costi espresso in tempi e motoseghe, ma
di ossigeno che viene definitivamente meno all’umanità. E si
chiedono se l’immensa capacità produttiva guadagnata oggi dal
pianeta nel suo insieme non significhi in definitiva uno spreco tanto
immenso quanto inutile e dannoso.Occorrerebbe, di fronte a tanti anni
di insensatezza, ripensare al concetto di Bene, Bello e Giusto. Ma
questo certamente non si farà.
Peccato originale. Il dramma è
che non ci sarà più, la prossima volta, un’arca di
Noè a salvare l’umanità dal disatro incipiente che i
più attenti degli umani percepiscono come inevitabile. Il mondo
intero e` l’Arca. Se questo perisce, nessuno si esimerà dal
pagare un prezzo severo, se non tremendo. Con l’unico vantaggio che si
potrà capire il vero significato di quello che si chiama
"il peccato originale".
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